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Vita e Morte di Gustave Klimt


Gustave Klimt immagina la Morte con un vestito di croci, come indossasse su di sé le tombe di cui è artefice, il gesto aggressivo del colpo pronto ad essere sferrato, ma soprattutto lo sguardo famelico di strane orbite dalla pupilla di serpente. Oggetto del suo desiderio è un gruppo di figure fatto da donne, madri, figli, un’anziana e una coppia tutti uniti da un abbraccio, tutti serenamente addormentati. Tutti tranne una giovane sveglia sul bordo del gruppo, che invece sembra protesa verso la morte mentre ne intercetta lo sguardo con i suoi grandi occhi azzurri che non mostrano paura.

Su un fondo nero e catramoso che è come un cielo senza stelle, un’eternità che non ha senso, l’umanità vive la sua vita e il suo tempo in un sonno di incoscienza, ignara del destino ineluttabile che incombe su di essa, dello sguardo senza occhi che la Morte le dedica costantemente.

Ma ci sono quegli occhi aperti, quello sguardo sveglio, che interrompe il ciclo, che forse genera un momento di perplessità nella certezza del proprio compito. Lo sguardo nato dall’incontro degli occhi morti con gli occhi vivi della sua prossima vittima, che non ha paura, anzi, sembra indicarsi con un morbido gesto delle mani sul petto.

La Morte, che di solito non ha pietà né per la giovinezza né per la bellezza, forse ha esitato grazie a quello sguardo  che gli ha mostrato lo splendore della vita.

Il ciclo della Vita rappresentato da Klimt, mostra questa lotta silenziosa tra il colore e la sua assenza, tra il buio e la luce, eppure la giovane che apre gli occhi e affronta la morte uscendo dall’incoscienza apre la visione, supera il Memento Mori e pone la narrazione su un nuovo percorso, un percorso di rivincita dell’umanità, che proprio nel momento dell’acquisizione della coscienza della morte se ne affranca, arrivando, forse, anche a  farla esitare.

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