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Verso l’ora zero (1944)


All’inizio ero prevenuta, il titolo sembra quello di un romanzo di spionaggio, e sappiamo tutti che i romanzi di spionaggio mi procurano una cattiva digestione, invece è venuto fuori che è un bel giallo classico con la morte di una vecchietta che lascia l’eredità, una casa in campagna, la storia d’amore travagliata e l’indagine poliziesca tradizionale.

Inoltre il protagonista investigativo è il Sovrintendente Battle, antitesi di Hercule Poirot, funzionario di polizia che nel suo essere una persona per bene e affidabile racchiude tutta la propria forza. Ma forse per questa sua semplicità, non ha avuto il successo degli altri investigatori della Christie e viene sempre sopraffatto dagli altri personaggi, che lo rendono una componente necessaria per lo svolgimento della trama, ma non emotivamente coinvolgente. Eppure qui il tema della narrazione è importante, perché il romanzo si svolge per esprimere un’idea precisa: il delitto non è l’inizio della storia, è la fine.

In questo romanzo Agatha cerca di sviluppare con un pensiero senza per me riuscirci completamente: il delitto è il risultato della somma di fatti più o meno casuali, soprattutto di una serie di coincidenze, che portano tutti i personaggi verso un conto alla rovescia che si conclude con “l’ora zero”, ovvero l’ora dell’omicidio. Per fare questo racconta una storia complessa, in cui muore anche chi non ci aspettiamo muoia, dimostrando che il pregiudizio della visione più scontata della storia ci porta sempre sulla strada sbagliata

Nonostante gli innegabili punti deboli, resta un libro che va letto perché affronta la narrazione con un ritmo interessante, che si perde forse un po’ nel finale, dove Agatha sembra voler accontentare tutti togliendo un amaro che invece gli avrebbe lasciato più carattere, come il gusto dello zenzero che pizzica ma alla fine piace per questo.

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