C’è chi ha un problema con l’alcool, chi con il gioco, chi con la rabbia, io ce l’ho con le parolacce.
Prima di tutto ho un problema grammaticale, mi dimentico sempre se è “parolaccie” o “parolacce”, grazie a Dio c’è la correzione automatica di word che mi permetterà di scrivere questo pezzo senza troppi errori.
Poi ho un problema morale, perché mi rendo conto che, quando qualcuno mi fa arrabbiare, riesco a tirare fuori dai miei dolci labbrucci (cfr. plurale di labbruccio) roba da far sbiancare uno scaricatore di porto, e non è bello per una signorina, come mi fanno notare tutti quelli che mi vogliono bene e che mi possono rimproverare solo questo difetto.
A mia discolpa dico che è stata l’influenza dell’ambiente di lavoro, dove ho trovato donne che mi hanno insegnato frasi e parole di cui ignoravo l’esistenza.
Nei vari anni che ho trascorso nell’ organizzazione di eventi, quindi un’attività caratterizzata da picchi concentrati di stress, ho scoperto innumerevoli varianti della parola di cinque lettere che inizia con “c” e finisce con “zzo” che contraddistingue l’attributo maschile per eccellenza, e non sto parlando della barba. Questo vocabolo l’ho incontrato abbinato ad un sacco di altri termini inusitati, ed ho imparato anche molte varianti dei sinonimi di “donna di facili costumi”.
Esistono inoltre vari sinonimi del principale rifiuto organico prodotto dall’uomo e dagli animali, che vengono utilizzati da soli o in abbinamento a termini come “faccia” “persona” “situazione” “lavoro”.
Eppure io lotto contro questa dipendenza e cerco di aiutarmi a smettere utilizzando dei termini sostitutivi come i fumatori che usano la sigaretta elettronica.
Poiché penso sia un problema più diffuso di quello che sembra e sottovalutato come fonte di disagio sociale, ho deciso di fare partecipi anche gli altri di questo metodo che consiste, appunto, nel sostituire la parola volgare con una più innocua, magari assonante, che salvi la decenza e la faccia.
Se ci sono vocaboli di uso comune come “Corbezzoli”, “Cavoli”, “Perdindirindina” e “Perdincibacco”, ne esistono alcuni composti che danno molta soddisfazione come “Porcapuzzola” o “Porcapaletta” detto tutto attaccato, mentre il termine “Mannaggia” viene abbinato ai più innocui “ alla papera”, “alla Pupazza” o “ agli Zeppetti”.
“E che Pillole” o “E che Palpebre” si usano quando si vuole esprimere disappunto per il mancato raggiungimento di un obiettivo o si vuole evidenziare una situazione di frustrazione.
“Testa a Pirolo” indica una persona di scarsa intelligenza e priva di sagacia, ma per parlare di insulti rimando al pezzo “Insulto quindi sono – breve apologia dell’offesa (http://piantatastorta.altervista.org/insulto-quindi-sono-breve-apologia-delloffesa/ )
“Ma vai a fare un bagno” quando si vuole invitare qualcuno ad andare al famoso paese della canzone di Alberto Sordi (cfr. Te c’hanno mai mandato…) con un tono formale, mentre, se si ha confidenza e si vuole essere anche un po’ benevoli, non inferire insomma, un ottimo sostituto è “Ma Vaffancuore”. Questa esortazione è ammorbidita appunto dal cuore, il “vaffa” assume un tono zuccheroso che fa sorridere, lo consiglio nei momenti più pesanti, perché riesce a sdrammatizzare e regala un sorriso a tutti, come spero ve l’abbia regalato questo pezzo…altrimenti andate tutti a Pettinar le bambole!
P.S.( si ringrazia Chiara Rocchi per l’immagine 😉 )
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