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Cos’è l’Inferno, la Visione di Santa Francesca Romana


tor de specchi

All’interno del Monastero di Tor de’ Specchi, in quella che è chiamata la Chiesa Vecchia, ovvero il vecchio oratorio, è possibile trovare, tra le pareti totalmente dipinte nel 1468, il suggestivo affresco, attribuito a Antoniazzo Romano e aiuti, della “Visione dell’Inferno” avuta da Santa Francesca Romana durante la sua malattia e che il suo confessore, il prete Giovanni Mattiotti, registrò ne lo tractato como la beata Francesca fu menata in spirito da l’angelo Raphaello ad vedere le pene che pateno l’anime nello inferno.

Francesca Bussa de’ Ponziani è una donna veramente vissuta nella Roma del Quattrocento, di famiglia agiata che, nonostante il desiderio di vivere la vita monastica, segue il ruolo sociale a lei destinato e si sposa. Vive quindi una vita “mondana”, con tre figli e un marito, ma asseconda il suo animo caritatevole dedicandosi sempre ad opere di carità, fino a fondare nel 1425 la congregazione delle Oblate Olivetane di Santa Maria Nuova, dette anche Oblate di Tor de’ Specchi. Tre anni dopo la morte del marito,  prese i voti nella congregazione da lei fondata, assumendo il secondo nome di Romana. Morì il 9 marzo 1440.

In questo affresco Santa Francesca, sostenuta dall’Arcangelo Gabriele, assiste inorridita all’oscenità dell’inferno. Davanti a lei si apre la caccia dei demoni alle anime perdute, che vengono catturate e cacciate in bocca ad un drago infernale dalla forma di serpente a scaglie verdi. La bocca spalancata del mostro butta calore e miasmi, divora i dannati e li rigurgita nell’Inferno visto come una sorta di edificio a più piani sovrapposti destinati ai diversi tormenti: al piano terra, ovvero nel piano più in basso, abitano i golosi e i lussuriosi, questi sono affiancati dagli scomunicati, che precipitano nel fondo dell’Ade e sono condannati a bollire in eterno in una caldaia incandescente; al di sopra si vedono gli iracondi e gli avari; gli accidiosi abitano il piano centrale; nel quarto piano si svolge il corteo delle anime che vengono presentati e giudicati da Satana, che li accarezza con la mano unghiuta; nell’ultimo piano vivono i loro tormenti i superbi e vanagloriosi, costretti a stare appesi a testa in giù.

Il personaggio che domina la composizione rimane Satana in persona, seduto a destra, gigante, rispetto alle anime che si affollano davanti a lui, tanto da usare un livello dell’inferno come comodo trono. Lucifero guarda il suo regno  come un generoso principe, con una forma solo in parte umana, la pelle di colore fuligginoso, artigli da rapace ai piedi, naso adunco, corna sulla testa e ali membranacee. Si pone come una sorta di parodia del Cristo Giudice mentre compie il gesto di giudicare le anime perse.

E davanti a questo gigante mostruoso le piccole anime perdono significato, tutte uguali nella loro sofferenza, declinata in modi diversi, ma infondo sempre uguale. La vera dannazione infatti non è il tormento, ma la consapevolezza della propria mancanza di speranza, la certezza che non esiste un futuro, che l’eternità sarà solo quello e niente più.

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