Un quadro del Seicento che mostra la furia della battaglia e qualche cosa di più: la ferocia degli uomini e delle bestie uniti dal desiderio di sopravvivere in un’immagine di caos e concitazione che fonde i corpi, i colori e i movimenti.
Pieter Paul Rubens qui dipinge sia una scena di genere fortemente decorativa grazie anche all’inserimento degli animali esotici, che un tema comune al mondo classico, il conflitto tra l’uomo, ovvero la ragione, e la bestia, l’istinto, il sentimento che diventa selvaggio perché non è mediato dal pensiero. E per fare questo sceglie il momento più pauroso della lotta: quello in cui ancora non si conosce il vincitore.
Nonostante l’apparente confusione, ad uno sguardo più concentrato, ritroviamo i climax simmetrici che usa per comporre l’immagine e che ci indirizzano verso un percorso narrativo fluido basato su un movimento a spirale il cui centro è il poco elegante posteriore del cavallo. Da questo lo sguardo si muove sulla linea circolare allargandosi lungo la schiena curva della tigre impegnata in un attacco furioso, per poi superare il cavaliere vestito di rosso che ci conduce, grazie alla posizione della lancia, verso il basso, dove due uomini cercando di sopraffare un leone.
Il gesto possente del personaggio che blocca le fauci della belva a mani nude e le spalanca si confronta con la stessa potenza dell’attacco della tigre, mentre il vuoto tra le gambe del cavallo, dove un mare piatto e calmo ricorda che la calma può esistere altrove, viene subito riempito dal leopardo mordo.
La drammaticità è attenuata dal poco sangue versato intorno alla vittima, mentre lo sguardo risale attraversando un momento di tenerezza disperata: un’altra tigre che difende i suoi cuccioli, ma il tutto si chiude sui cavalieri che colpiscono la madre nell’ultimo atto tragico e impietoso della scena.
Un quadro pieno quindi, pieno di forza, sofferenza, coraggio, disperazione, ed inaspettatamente di speranza: la speranza di sopravvivere.
Ogni azione è guidata, infatti, da questo imperativo silenzioso, apparentemente sopraffatto dalla forza della concitazione, ma vero motore del movimento. Vicino al leopardo morto, il punto dove la speranza sembra essere finita, la madre circondata dai suoi figli, la tigre che difende la speranza più grande di tutte: i suoi cuccioli.
Così capiamo che alla fine non stiamo solo vedendo una scena di genere e neanche una metafora generale dell’eterna lotta tra ragione e istinto, ma qualche cosa di più profondo e micidiale: Rubens immortala il moto perpetuo della nostra speranza, la lotta che compiamo ogni momento per non farci sopraffare dal dubbio di non farcela, perché sappiamo che finché continueremo a credere di potercela fare saremo vivi.
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